Potete anche non crederci, ma esiste un indice che, nel suo paniere, considera una sola voce, ovvero il «Big Mac» prodotto dalla catena fast food «McDonald’s».
La brillante idea venne al giornale «The Economist» nel settembre del 1986 e nelle intenzioni doveva servire come strumento di comparazione del potere d’acquisto di una valuta.
In pratica, tenendo per buona la «Teoria della parità dei beni d’acquisto» (PPP, ovvero «purchasing-power parity»), la cosa funziona così: si divide il costo dell’hamburger nella valuta delle due nazioni che si vogliono confrontare, si guarda il tasso di cambio corrente e, nel caso risulti più basso, la prima valuta è sottovalutata, se è più alto vuol dire che è sopravvalutata.
In altre parole: «Supponiamo che un Big Mac costi 2,00 sterline nel Regno Unito e 2,50 dollari negli USA; quindi il tasso della parità di potere d’acquisto è 2,00 : 2,50 = 0,80. Se il tasso di cambio ufficiale è 1 dollaro statunitense per 0,55 sterline, allora la sterlina è sopravvalutata rispetto al dollaro» (da Wikipedia).
Questo è un indice che il giornale pubblica annualmente, anzi, si divertono così tanto che nel 2004 si sono inventati un altro indice basato questa volta sulla tazza di caffè di Starbucks!
Allora, in linea di principio la cosa potrebbe anche funzionare, ma si dovrebbe però tener conto di un po’ di parametri, ovvero: costi di produzione, livelli di retribuzione, tasse, diversità di redditi, prezzi che si adeguano alle realtà economiche dei diversi paesi. Insomma un po’ troppe variabili perché il nostro povero panino se ne possa far carico.
Comunque pensateci la prossima volta che addenterete un Big Mac.
P.s.: così, per mera curiosità, lo scorso anno la piazza meno cara per l’hamburgher era Hong Kong (1,90 $), in Svizzera il prezzo più alto (6,19 $), mentre in zona euro valeva 4,33 $.
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