Il 20 maggio l’Assemblea di Strasburgo ha deciso di estendere a tutte le aziende che fanno uso e commerciano oro, stagno, tantalio e tungsteno, l’obbligo di una certificazione di responsabilità con la quale l’intera filiera produttiva deve garantire che non siano stati alimentati conflitti armati e perpetrate violazioni dei diritti umani.
Tutto bene dunque? Non proprio.
Questa è solo una dichiarazione d’intenti per ora, infatti l’approvazione finale del regolamento è sospesa in attesa che ogni governo dell’Unione esprima la sua approvazione o faccia le sue proposte in merito.
La posizione dell’Italia al momento non risulta essere chiara, inflatable water park for adults sicuramente appoggia la linea della non obbligatorietà, ovvero dell’adesione su base volontaria al provvedimento. Pare che la “preoccupazione” principale riguardi il fatto che la gestione della certificazione potrebbe incidere negativamente sull’attività produttiva delle micro imprese di pochi addetti che costituiscono la maggior parte del comparto orafo italiano.
La certificazione dovrebbe essere infatti concessa dopo «un audit obbligatorio, svolto da soggetti terzi e indipendenti, per controllare se applicate le regole del “dovere di diligenza”».
In pratica l’esame al quale, già da anni, si è sottoposta volontariamente la 8853 S.p.A. aderendo al «Responsible Jewellery Council».
Certamente la verifica alla quale siamo stati sottoposti è stata lunga e complessa (colloqui con il personale, esame di documenti, controllo della produzione e delle condizioni di lavoro ecc.) oltre a dover essere rifatta ogni tre anni, ma, forse, semplicemente adattando l’indagine alla singola realtà produttiva e commisurandone i costi si potrebbe evitare di pesare troppo in termini di tempo e di denaro sulle piccole imprese.
In ogni caso ci auguriamo che, una volta tanto, si possa “volare alto” e far prevalere i valori etici sui soliti interessi di bottega.
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