La commissione UE aveva avviato una consultazione pubblica per capire se fosse il caso di applicare un controllo sulla provenienza «conflict free» dei metalli utilizzati nella realizzazione dei prodotti finiti.
Non ne conosciamo il risultato, ma a noi non sembra neppure il caso di interrogarsi su una questione simile: la legge dovrebbe essere emanata ed applicata, punto.
Lo spunto è stato dato da una legge approvata negli Stati Uniti nel luglio del 2010, la «Dodd-Frank Act» che, tra le altre cose, impegna le società specializzate nel settore dell’elettronica a dichiarare se i metalli utilizzati provengano da paesi nei quali sono in corso conflitti.
Benché la legge preveda solo l’obbligo di segnalare la provenienza delle materie prime, alcune società sono andate oltre decidendo di eliminare del tutto gli approvvigionamenti provenienti da quei paesi (vedi, ad es. il report annuale della Apple).
Tutto è nato diversi anni fa con i famosi, e famigerati, «Bloody Diamonds», ovvero i diamanti utilizzati da movimenti ribelli per finanziare la loro guerra contro governi legittimi (e tralasciamo quanto siano “legittimi” certi governi in Africa!), così come recita la «Risoluzione 55/56» (1° dicembre 2000) dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.
Così, nel maggio del 2000, a Kimberley (Sud Africa) si tenne una conferenza allo scopo di sviluppare dei sistemi di controllo («Kimberley Process») sulla provenienza delle pietre e nel novembre del 2002 venne varato un protocollo di certificazione firmato da 37 paesi (tra i quali l’Italia).
Sull’onda di questo impegno l’attenzione si è spostata su ogni materia prima che potesse risultare in qualche modo “insanguinata” e diverse sono le associazioni nate per combattere questa piaga.
Tra queste la «Responsible Jewellery Council» (RJC) della quale facciamo parte e della quale abbiamo dato conto in un precedente articolo su questo blog.
Qualcuno sostiene che, a questo proposito, le norme non debbano essere imposte dall’alto, con una legge, ma dovrebbero essere «business driven», ossia una scelta delle aziende: ci permettiamo di dissentire.
La «Convenzione di Washington» (1973), cui hanno aderito 115 paesi, tra cui l’Italia naturalmente, vieta, ad esempio, tra le altre cose, l’importazione di oggetti in avorio o i carapaci delle tartarughe: dunque proteggiamo, giustamente, alcune specie animali, ma non ci preoccupiamo degli esseri umani resi schiavi per lo sfruttamento di alcune materie prime (tra cui l’oro)?
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